In caso di ricorso avverso la cartella di pagamento, la scelta del soggetto contro cui rivolgere il ricorso, se l’agente della riscossione o l’ente impositore, dipende sostanzialmente dai vizi che si contestano in sede di giudizio: è necessario distinguere, infatti, tra l’impugnazione per vizi propri dell’atto oppure impugnazione per vizi attinenti la sottostante pretesa impositiva. Nel primo caso, la legittimazione spetta all’agente della riscossione, mentre ne secondo caso spetta all’ente.
Ma cosa succede se, nell’impugnare la cartella, oltre che per vizi propri di questa anche per vizi della pretesa, il ricorso viene rivolto esclusivamente contro l’agente della riscossione e non anche contro l’ente impositore? Da anni la Cassazione è ferma nel sostenere che “qualora il concessionario del servizio di riscossione sia destinatario di una impugnazione della cartella di pagamento proposta anche per vizi non propri di essa ma attinenti alla pretesa impositiva, egli ha l'onere di chiamare in causa l'ente creditore , se non vuole rispondere in proprio dell'esito della lite; pertanto la chiamata in causa della Agenzia delle Entrate ad opera del concessionario corrisponde ad una fattispecie di litisconsorzio facoltativo e non ad un caso di litisconsorzio necessario, con conseguente esclusione dell'obbligo per il giudice di ordinare l'integrazione del contraddittorio a norma dell'art.14 comma 2 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n.546 (Sez. 5, Sentenza n. 10477 del 14/05/2014, Rv. 630892; Sez. U, Sentenza n. 16412 del 25/07/2007, Rv. 598269)” (Cass. 5161/2017).